di Riccardo Noury e Monica Ricci Sargentini
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Donne |

La Costituzione del 2014 ha rappresentato un grande passo avanti per la tutela dei diritti umani in Tunisia: tra le novità positive, garantisce maggiore protezione alle donne e prevede l’uguaglianza di genere e il divieto di discriminazione.

Questo, sulla carta.

Un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, descrive una situazione profondamente diversa: il paese arabo leader nel campo dell’uguaglianza di genere continua a non proteggere, per carenze legislative e radicate attitudini discriminatorie, le donne che subiscono violenza e le persone prese di mira a causa dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e delle loro attività sessuali.

Le donne e le ragazze tunisine vivono in una società che preferisce preservare l’onore familiare piuttosto che chiedere giustizia. Le donne, soprattutto coloro che hanno subito aggressioni sessuali o violenza in famiglia, sono scoraggiate dal presentare denuncia e indotte a credere che, in caso contrario, getteranno vergogna sulla famiglia. La polizia spesso ignora o persino fa sentire in colpa chi osa denunciare e talvolta si attribuisce un ruolo di mediazione, anche nei casi più gravi di violenza.

Queste attitudini sociali e le manchevolezze dello stato sono particolarmente gravi in un paese dove la violenza sessuale e quella di genere sono radicate. Quasi la metà delle donne (il 47 per cento) intervistate in un sondaggio del 2010 ha dichiarato di aver subito violenza e vi sono pochi segnali che la situazione, da allora, sia migliorata.

Molte donne tunisine si sentono intrappolate in un ciclo di violenza che spesso chiama in causa i loro mariti. Donne incontrate da Amnesty International hanno denunciato di essere state prese a schiaffi e a calci, picchiate con cinture bastoni e altri oggetti o minacciate coi coltelli, strangolate e persino bruciate.

Tra le tante testimonianze contenute nel rapporto, c’è questa:

“Mio marito mi picchiava ogni giorno. Quando, nel 2009, ho deciso di denunciarlo dopo che mi aveva spaccato il naso e sfregiato il volto, la polizia ha dato la colpa a me”.

Questa donna ha nuovamente denunciato il marito nel 2014. Questi, invece di essere arrestato, se l’è cavata firmando un documento in cui prometteva di non picchiare più la moglie. Invece ha continuato e continua ancora oggi, senza alcuna conseguenza.

Un’altra donna ha riferito ad Amnesty International di essere stata stuprata a 17 anni da un uomo che aveva incontrato dopo che era fuggita di casa per evitare la violenza domestica. Dopo lo stupro è rimasta incinta e ha ricevuto pressioni perché sposasse quell’uomo per evitare la vergogna di essere una madre single.

In seguito, ha divorziato ma grazie alla legge che permette l’impunità in cambio del matrimonio a chi stupra una donna di meno di 20 anni di età, il suo ex marito non può essere condannato.

Altri due ostacoli nei confronti delle donne che vogliono denunciare gli abusi sessuali sono la criminalizzazione della prostituzione e la previsione di cinque anni di carcere per il reato di adulterio. Amnesty International ha incontrato donne minacciate di finire in prigione per aver cercato di denunciare la violenza subita.

Il rapporto di Amnesty International contiene tre precise richieste alla Tunisia: assicurare che le persone che hanno subito violenza sessuale o di genere abbiano maggiore accesso ai servizi di salute pubblica e alla giustizia senza timore di andare incontro a pregiudizi sociali e legislativi; adottare una legge di vasta portata per fermare la violenza contro le donne, in modo coerente con gli obblighi internazionali della Tunisia sui diritti umani; rivedere le leggi che producono effetti dannosi, attraverso il riconoscimento dello stupro coniugale, la fine dell’impunità per i rapitori e gli stupratori qualora sposino le loro vittime se di età inferiore a 20 anni e l’abolizione delle norme che criminalizzano le relazioni sessuali tra persone non sposate e tra persone adulte e consenzienti dello stesso sesso.

Qui, l’appello per sostenere quelle tre richieste.

(Nella foto di Meriam Zemzari: una delegazione di Amnesty International consegna al ministro della Sanità Mohamed Salah Ben Ammar e alla segretaria di stato per le donne e la famiglia Neila Chaabane parte delle 198.000 firme raccolte dall’organizzazione per i diritti umani per chiedere alla Tunisia di porre fine alla discriminazione nei confronti delle donne e proteggerle dalla violenza).

 

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