Milano, 19 maggio 2014 - 08:42

Allungare la vita di pasta, riso e caffè L’Ue discute sulla data di scadenza

Coldiretti: Bruxelles pronta a rivedere le norme. L’idea di togliere le parole «Da consumarsi preferibilmente entro...». In Italia le rispetta una persona su tre

di Luigi Offeddu

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«Da consumarsi entro il primo giugno», spiega la scritta sulla busta di tortellini, o sulla confezione del gruviera. Può accadere perfino che l’anno indicato sia il 2015, o il 2016, o che invece la minaccia potenziale si concreti già l’indomani: dubbi molesti, digiuno prudenziale, timori irrazionali, a quanti è capitato? Dieci minuti a pensarci su, e poi il tubetto o la scatoletta vola in pattumiera: e magari, un anno dopo, sarebbe stata la stessa leccornia, buona e salutare.

Ma ora l’Unione europea si preparerebbe ad abbattere il tabù: cioè a eliminare le etichette con la data di scadenza dalle confezioni di alcuni prodotti alimentari a lunga conservazione. Obiettivo, economico ed etico, evitare la piaga dello spreco alimentare: cioè quei 515 euro all’anno di cibi scaduti che ogni famiglia italiana archivia nei cassettoni per strada, o quegli 89 milioni di tonnellate di prodotti (presumibilmente) a rischio che finiscono nei rifiuti di tutta la Ue.
Si tratta di prodotti «secchi»: pasta, caffè, formaggi duri, riso, e così via. Mentre quelli «liquidi» o «umidi», come lo yogurt o altri latticini facilmente deperibili, non verrebbero toccati dalla svolta: nel loro caso, pensano gli esperti dei laboratori Ue, l’abolizione dell’etichetta con la data potrebbe rappresentare un vero pericolo igienico.

In Europa, secondo le norme vigenti finora, sia i «secchi» che i «liquidi» possono essere potenziali veicoli di intossicazione se il loro consumo non avviene entro la data stabilita dai laboratori; in Africa, o in Asia, possono essere invece beni di lusso, cioè di sopravvivenza, a prescindere da qualsiasi scadenza indicata sulla confezione. E anche su questo si basa la motivazione etica che, insieme con quella economica, sarebbe alla fase del futuro provvedimento.
È da tempo che se ne parlava, fra Bruxelles e Strasburgo. Ora, a preannunciare la novità, sono state alcune anticipazioni pubblicate dal giornale tedesco Bild e dalla Coldiretti. Ma una conferma ufficiale è giunta solo poche ore fa, quando una nota è comparsa sul lungo ordine del giorno dell’Agrifish o Consiglio dei ministri Ue dell’Agricoltura e della pesca, fissato per oggi. Dopo un’altra nota su «Riduzione dell’uso dei prodotti protettivi delle piante», e prima di un’altra ancora su «Protezione degli animali durante il trasporto», ecco il tema più delicato: «Perdita di cibo, spreco di cibo».

Nell’Agrifish siedono i ministri dell’Agricoltura di tutti i 28 Paesi Ue. E sarebbero soprattutto quelli di Olanda e Svezia a premere per il cambiamento, con l’appoggio di Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo. Altri sono schierati sul fronte opposto, o neutrali. Date le procedure e i tempi della Ue, sarebbe davvero una sorpresa se dalla riunione di oggi sfociasse una qualche decisione operativa. Cambiamenti di questa portata richiedono mesi, a volte anni. Tuttavia, il solo fatto che l’argomento venga affrontato pubblicamente, rappresenta un fatto importante.
«La tentazione di mangiare cibi scaduti per non sprecare - rileva Coldiretti - non deve andare a scapito della qualità dell’alimentazione, in una situazione in cui molti cittadini sono costretti a risparmiare sulla spesa privandosi di alimenti essenziali per la salute o rivolgendosi a prodotti low cost che non sempre offrono le stesse garanzie qualitative».

Preoccupazioni che sembrano confermate dai dati sulle vendite «low cost» nei supermercati alimentari: queste sono infatti le uniche a far registrare un’impennata nel commercio al dettaglio italiano con aumento del +2,9 per cento. La crisi economica sembra comunque aver preceduto l’iniziativa di Bruxelles: secondo elaborazioni della Coldiretti su dati Gfk Eurisko, solo il 36 per cento degli italiani ammette infatti di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti, e aggiunge che prima di buttarli controlla personalmente la loro condizione. Secondo la stessa ricerca, poi, appena il 54 per cento degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero.

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