Milano, 26 giugno 2014 - 13:16

Sì agli strumenti didattici online
ma attenti alla privacy

I genitori italiani sono favorevoli all’uso di tecnologie a scuola, ma l’86% teme un utilizzo improprio delle attività online. I rischi per chi non rispetta le regole

di Antonella De Gregorio

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In più della metà delle scuole italiane mancano software, computer e personale di supporto. L’accesso a Internet è insufficiente nel 47,4 per cento degli istituti. Lo ha appena quantificato il rapporto Talis (Teaching and Learning International Survey): l’indagine sui professori della scuola secondaria inferiore di 30 Paesi ed economie del mondo. Ma più del digital divide, su docenti e presidi rischia di abbattersi il «privacy divide». Un vuoto che non riguarda la padronanza delle tecnologie, ma il rispetto delle regole, nel loro utilizzo.

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Scuole e privacy: così il Garante

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Se è ormai assodato, infatti, che i dati personali degli studenti possono essere «trattati solo per le finalità istituzionali», che quelli sensibili (credo, razza e stato di salute) godono di particolare riservatezza, che voti di scrutini ed esami sono pubblici e le registrazioni video e audio si possono diffondere solo previo consenso, meno chiaro è come si debbano «maneggiare» le nuove applicazioni web e il «cloud computing» che si stanno diffondendo nelle classi. Applicazioni non sicure perché «i dati vengono immagazzinati o trasferiti attraverso server che non si sa neppure dove risiedono: con un clic senza accorgercene trasferiamo dati in India o in Sud Africa», spiega Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy. I servizi di memoria («storage») nella «nuvola» di Internet, in cui si possono archiviare voti e temi dei ragazzi, o dati amministrativi; le applicazioni di file sharing con le quali docenti di classi, scuole, addirittura città diverse possono mettere in comune programmi, ricerche, questionari; lezioni video condivise: «Tutte importanti conquiste - dice Bolognini - ma i professori sanno che per utilizzarle bisogna aver firmato clausole contrattuali standard che la Commissione europea impone a chi vuol far uscire dati fuori dall’Ue? Conoscono i rischi a cui espongono i ragazzi, mettendo in rete dati personali?».

Sanzioni e reati

Una problematica che è solo agli albori, desta ancora poco interesse, pur figurando tra i punti nell’agenda del nuovo Parlamento europeo. Ed è bene conoscerla, perché i rischi, per chi non rispetta le regole, sono elevati: «Per violazioni della normativa della privacy sono previste sanzioni amministrative da 10 a 120mila euro - spiega Bolognini -. E per la trasmissione di dati all’estero le responsabilità sono anche penali: da 1 a tre anni di reclusione; mentre per il trattamento illecito di dati il codice penale prevede da 6 a 18 mesi. E per l’omissione di misure minime di sicurezza, c’è l’arresto fino a due anni». «Inoltre - prosegue l’esperto - la legge dice anche che i dati personali trattati in violazione della legge sono inutilizzabili. Che cosa succede se viene dichiarata inutilizzabile l’evidenza di un compito in classe?».

Il sondaggio

Le regole base per la gestione del «cloud computing» le ha spiegate a Roma l’IIP, insieme all’associazione americana SafeGov, che ha anche presentato i risultati di un sondaggio rivolto ai genitori italiani (indagine replicata in quattro Paesi europei e in diversi Paesi del mondo), per valutare le loro opinioni sull’utilizzo delle applicazioni e degli strumenti online nelle scuole. Secondo il sondaggio, la maggioranza dei genitori italiani ritiene che l’utilizzo di Internet a scuola possa apportare vantaggi significativi agli studenti ed è favorevole all’uso di strumenti online per le attività di apprendimento (delle lingue straniere, soprattutto: 60%) e per migliorare il rendimento scolastico; ma la maggior parte dei genitori ha anche espresso preoccupazione circa l’uso improprio delle pratiche di creazione di profili e di monitoraggio delle attività online dei propri figli a scuola. Oltre al controllo delle email, i genitori sono contrari (86%) al monitoraggio da parte delle società Internet delle attività dei ragazzi sui social network e sui canali video, su tablet e smartphone per scopi diversi da quelli didattici, ad esempio pubblicitari. Infine, il 72% dei genitori ritiene che spetti alle scuole garantire la protezione della privacy degli studenti e propone che sempre le scuole richiedano servizi di posta elettronica che offrano garanzie contro la creazione di profili a fini pubblicitari.

Il manuale

Obiettivo della campagna di IIP e di SafeGov «non è certo frenare l’avanzata del nuovo», ha dichiarato il presidente dell’associazione americana, Jeff Gould, «ma dire che le cose vanno fatte bene, firmando i contratti di impegno, vincolano i fornitori di tecnologie al rispetto degli standard; e aiutare aziende, scuole e responsabili politici ad attuare le misure necessarie per garantire agli studenti una protezione speciale quando in classe utilizzano strumenti online, applicazioni di social network, tablet o altri dispositivi». Per questo in occasione dell’incontro romano, l’Istituto per la Privacy ha distribuito un manuale sulla Privacy e il Cloud Computing nel settore della pubblica istruzione (con riferimenti anche ai trattamenti di dati su piattaforme cloud nella P.A. in generale), che è disponibile anche online.

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