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Cultura

La diplomazia dei papi: due libri illuminanti

Due libri sulla diplomazia della Santa Sede, sui papi dell'ultima parte del XX secolo e su un loro fedele servitore, il cardinale Agostino Casaroli. Il primo di Andrea Riccardi, "L'uomo dell'incontro. Angelo Roncalli e la politica internazionale" (ed. San Paolo); il secondo di Roberto Morozzo della Rocca "Tra est e ovest. Agostino Casaroli diplomatico vaticano" (ed. San Paolo), centrati sui complessi passaggi dei due dopoguerra e in particolare il secondo. Si tratta quest'ultimo, di un periodo che oggi ci pare lontanissimo: quello della guerra fredda. Oggi il mondo è multipolare; nell'ultima fase (anni 90) è stato unipolare: abbiamo difficoltà a ricordarci quando fu bipolare. Eppure in quel periodo si formarono molte delle sfide geopolitiche attuali.

Papa Giovanni non fu solo il "papa buono" ma anche un "santo-diplomatico". Il suo è un atteggiamento spirituale profondo: "Roncalli - scrive Riccardi - è un diplomatico non nel senso di una particolare arte di mediazione ma per le ricchezze di umanità di chi ha percorso con apertura le strade del mondo contemporaneo incontrando uomini e donne i più diversi: una volta divenuto papa non intende spogliarsi di quel metodo ecumenico e di quell'arte dell'incontro che ha maturato nel tempo". La sua arte è quella del rapporto personale e dell'amicizia: è uomo dell'incontro. Fa della ricerca della pace il suo grande disegno per il mondo: ha visto tre guerre - la Prima, la Seconda e la guerra fredda - maturando la convinzione dell'inutilità della guerra.

Non è un tecnico né uno specialista in diplomazia, non ha nessuna preparazione specifica e non ha fatto l'accademia diplomatica. Da nunzio si immerge in uno scenario nuovo e complesso del post Prima guerra mondiale: la Bulgaria ortodossa e poi la nuova Turchia nazionalista e la fine dell'impero coi resti della coabitazione ottomana, l'antico oriente cristiano, le nuove nazioni. Dopo il Secondo conflitto è infine nella Francia laica. In questo periplo si interessa di tutto e di tutti: dei cristiani d'oriente, degli armeni e dei siriaci con molte visite e incontri. E poi degli ebrei, dei musulmani, dei turchi nazionalisti. Per un prelato tutto ciò non era usuale all'epoca.

La grandezza di Roncalli è di aver spinto la Chiesa ad uscire da sé, la stimola alla simpatia per il "diverso": "pare logico - dice in una famosa predica ad Istanbul - che ciascuno si occupi di sé tenendosi nel cerchio limitato ... ma questa è una logica falsa!". Già da nunzio supera il perimetro dell'autoreferenzialità cattolica: non guardare solo a sé. Divenuto Papa affronta in modo del tutto nuovo la relazione con il comunismo, tema sensibilissimo in quel tempo. Tutto il Vaticano (e non solo) era convinto che non ci fosse nulla da aspettarsi dai sovietici, i "senza Dio" nemici della chiesa. Dal 1917 la linea seguita era che i comunisti non potessero cambiare. Si immaginava possibile solo una chiesa clandestina, ma a che prezzo. Davanti al comunismo Giovanni XXIII si chiede se valga solo il martirio e la condanna. E poi c'erano i comunisti in Italia, il PCI: non sarebbe parso strano dialogare con i sovietici e non con il PCI? Ma il papa decide di aprire. Per proseguire il suo disegno di pace, salta la cortina di ferro ed inizia a inviare appelli anche verso Mosca. I sovietici iniziano ad apprezzare. Giovanni ha un disegno: guardare all'"esile lucignolo fumigante come di chi attende con ansia ogni segno" anche minimo, per dare sollievo alle chiese del silenzio, per poter ottenere da Mosca e dai suoi alleati il permesso di avere i vescovi al concilio. È la forza morale della chiesa che attende, con pazienza, e lancia segnali, colloquia, dialoga.

Ciò che a molti sembrò ingenuità, e potrebbe sembrare ancora oggi un atteggiamento non realista, fu la fondazione di una grande politica, la Ostpolitik, che poi Paolo VI e Casaroli portano a maturazione completa. "Questo Krusciov non ci prepara forse delle sorprese?" appuntava il papa. Sembra riascoltare Giovanni Paolo II quando diceva "tutto può cambiare! La storia è piena di sorprese". Questa politica sarà definita dai protagonisti non modus vivendi ma modus non moriendi: anche sopravvivere è un'arte, una lotta. Infondo la vita lo è sempre, se ben spesa.

Papa Giovanni ci sfida con un'antica e sempre e nuova questione: dialogare con l'avversario è giusto o no? Dialogare è un cedimento? Serve a qualcosa? Naturalmente nella chiesa ciò viene posto in termini ecclesiastici: la chiesa deve far politica o solo pastorale? Deve utilizzare gli strumenti della diplomazia? Può imitare le potenze terrene e usare gli strumenti dell'astuzia diplomatica? Ma secondo il papa il dialogo esprime una profonda convinzione: sempre si può e si deve fare qualcosa, sempre si può tentare di cambiare anche il più ostico degli avversari, se quest'ultimo accetti di dialogare...

Qui entra in gioco il protagonista operativo della ostpolitik, l'esecutore: il cardinal Casaroli. Casaroli dal 1963 al 1990 si occupa dei rapporti internazionali della chiesa. A differenza del Pontefice è un vero specialista. Ha fatto tutto il cursus del diplomatico vaticano. Ma i veri protagonisti restano i papi. Parlare di Casaroli è parlare dei tre papi che ha servito: Giovanni, Paolo VI e Giovanni Paolo. Le critiche a lui sono critiche a loro o, come nel caso di Giovanni Paolo, distinzione da lui. È Casaroli a mettere in pratica la Ostpolitik creando i contatti coi regimi comunisti, stipulando accordi per la nomina dei vescovi e dialogando senza sosta. Si tratta di una grande politica che porterà la Santa Sede a divenire un protagonista della politica mondiale, punto di riferimento per molti, fino alla conferenza di Helsinki e poi alla caduta del muro dell'89.

Come si giustifica il dialogo di Casaroli? Per capire tale grande opera da un punto di vista politico-diplomatico ci sono alcune parole chiave. La prima è pazienza o gestione del tempo: una grande politica si costruisce nel tempo, per sedimentazioni, tessendo una tela di relazioni, valorizzando ogni segnale. Paolo VI disse "La Santa Sede intraprende le sue iniziative in una prospettiva di lunga durata". Legata a questa un'altra parola: gradualità. "Gradualità è la legge della vita" scrive Giovanni nella "Pacem in Terris". Tutto è graduale: occorre fare tutto senza la fretta di ottenere subito ma anche senza stancarsi, con speranza. Poi l'obiettivo: limitare il male. Diremmo noi gestire le crisi. Contrapporsi al male si può fare anche contenendolo, attenti a non peggiorare le cose. Ciò significa che dal punto di vista politico che si può sempre tentare qualcosa per gestire le crisi anche se queste ultime non si possono risolvere subito. Un'altra parola chiave è futuro, in senso storico, cioè quella sapienza nel guardare ai fenomeni storici che viene dallo scrutare i segni dei tempi. Noi oggi siamo troppo presi dall'attimo presente. Infine visione: una grande politica si compone in una visione. I papi hanno una grande visione sulla pace. Giovanni Paolo vuole anche riprendere il tema ai comunisti che ne hanno fatto una loro bandiera e influenzato il pacifismo mondiale. "La pace è nostra!" sostiene il papa ad Assisi nel 1986. Wojtyla ha anche una visione sull'Europa e del suo ruolo. Anzi: egli pensa che la mancanza di visione fa soffrire il mondo. È il metodo cristiano: riappropriarsi della pace e cambiare il mondo con mezzi pacifici. Giovanni Paolo pensa che l'Europa nasconda in sé un'energia insospettata di convivenza e di cultura che sarà essenziale nel mondo a venire.

Con l'elezione di Giovanni Paolo il tono è diverso, ma l'opera continua. È una Ostpolitik meno difensiva, più d'attacco. Il gradualismo assume un ritmo diverso. "Sotto questo nuovo papa - scrive Spadolini nel 79 - la Ostpolitik può fare passi da gigante". Li fece. Naturalmente come tutte le politiche dei piccoli passi, anche la Ostpolitik non soddisfaceva quasi nessuno. È una legge della storia: i piccoli passi non piacciono all'uomo ordinario. Tante furono critiche. La cosa che faceva più male ai papi e a Casaroli erano le critiche dei confessori della fede, di quei prelati che soffrivano per i regimi. Ma lo sguardo puntava lontano: Paolo VI disse a un vescovo polacco che si lamentava: "cosa sarà tra dieci o vent'anni? Finché vivrà questa generazione sarete forti, ma quando passerà?". Affidarsi a Dio non significa fatalismo ma attesa laboriosa.

È noto che con l'89 cade il muro e tutto cambia. Ma prima c'era stata Helsinki 1975, culmine dell'azione diplomatica di Casaroli. La Santa Sede è messa al pari degli altri Stati. Helsinki fu un'apertura per i dissidenti dell'est (Solidarnosc, Charta 77 ecc.) e per le chiese, anche se i seguiti furono lenti, com'è tipico della diplomazia multilaterale. Giovanni Paolo esige il rispetto degli accordi di Helsinki nel momento della massima espansione sovietica (Vietnam, poi Angola, Mozambico, Etiopia, e nel 79 Afghanistan, poi Nicaragua e Grenada). Helsinki diviene un grimaldello per aprire società chiuse.

Con gli anni Novanta, di fronte alle guerre del nuovo ordine mondiale che si avvia verso la globalizzazione, Giovanni Paolo prosegue la tradizione dei suoi predecessori: dialogo e pace. Solo la pace è santa. Per lui pace non è imparzialità ma visione d'insieme che tiene unite democrazia, diritti, libertà religiosa, transizioni pacifiche, pace mondiale. C'è un forte impulso dato dal Papa alla fine delle dittature in Cile, Argentina e nelle Filippine. Il dialogo si arricchisce e si apre all'ebraismo, all'islam... Giovanni Paolo II capisce prima di tutti il ruolo che possono svolgere le religioni nella politica mondiale.

Qual è dunque lo spirito del dialogo per i papi? Viene in mente il tempo di mezzo, il sabato santo: la croce é ben visibile, la Resurrezione viene alla fine (pensate all'89), ma intanto occorre prepararsi, nella preghiera e nell'azione graduale e tenace. È questo spazio di attesa e preparazione che significa non concentrarsi su di sé ma scrutare i cieli e vegliare. Giovanni Paolo stesso scriveva: "debole è il popolo quando acconsente alla sconfitta, quando dimentica la sua missione di vegliare finché giunga l'ora...".

E per noi uomini di oggi, per i politici e i diplomatici di oggi? C'è una grande lezione che viene da questi diplomatici della chiesa: sempre il dialogo - fatto con serietà caparbia - porta i suoi frutti. Se guardiamo al mondo di oggi, all'arco delle crisi che circonda l'Europa, impariamo l'arte paziente di operare anche quando sembra impossibile - a un occhio superficiale - fare qualcosa. La crisi del mondo islamico, i nazionalismi sempre risorgenti e aggressivi, sono tutte domande poste all'Europa e all'Italia. Non è oggi il tempo di una nuova paziente e sapiente e lunga costruzione? Non è il tempo di fare quella miriade di passi graduali, che un giorno porti alla fine della crisi mediorientale, così antica e sempre rinnovata? Dotarsi dello stesso spirito per fare una grande politica che guardi al futuro del Medio Oriente? Per giungere a una visione senza indulgere in improvvisazioni?

Nell'epoca del tempo reale, della velocità e del virtuale, vale ancora e sempre lo spirito del dialogo: necessario anche oggi per non finire nell'irrilevanza, nell'illusione che i problemi non ci riguardino, che si risolvano da sé, che li debbano risolvere altri o che si possano gestire con colpi ad effetto. Questi libri ci fanno riflettere su quale sia la giusta reazione delle democrazie occidentali davanti alle crisi, provando a coinvolgere tutti. In chiaro: se la Russia è una controparte in Ucraina, certamente può essere un associato in Siria, vista la sua influenza sul regime. Se vogliamo che Aleppo non faccia la fine di Mossul, occorre coinvolgere Iran, Turchia e Stati del Golfo che armano i soggetti più disparati; e così via. Tutto questo necessita di una sapiente e laboriosa azione di tessitura. La politica può riprendere la sua funzione non ideologica: essere creativa, proporre soluzioni possibili e ottenere quella massa critica necessaria a spegnere fuochi. In altre parole: politica che si renda utile. Oggi serve una nuova Helsinki, non più per evitare lo scontro bipolare e l'olocausto nucleare, ma per affrontare il caos politico della globalizzazione che sotto i nostri occhi moltiplica le stragi degli innocenti.

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