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Tagli alla sanità, Regioni in rivolta: "Caro governo, non rompere il patto d'onore"

Da sinistra, Sergio Chiamparino (presidente Conferenza Regioni) e il premier Matteo Renzi 
Spending review e possibili sforbiciate per 3 miliardi di euro, da Chiamparino a Zaia a Maroni esplode la protesta bipartisan. Palazzo Chigi getta acqua sul fuoco e lascia filtrare rassicurazioni, ma a insorgere ugualmente è pure la Cgil. In casa Pd, l'affondo di Bersani: "Il partito non può tradire suo universalismo"
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ROMA - Le Regioni non ci stanno. L'altolà è immediato e la rivolta è bipartisan. Corale. Da nord a sud - e da sinistra a destra - i governatori alzano la voce contro l'esecutivo Renzi che, di contro, nel corso della giornata getta acqua sul fuoco nel tentativo di smorzare la polemica. Secondo indiscrezioni, sarebbe la sanità l'obiettivo numero uno di un Tesoro che ora deve dare la caccia a quei 20 miliardi di euro necessari alla manovra 2015. L'ipotesi circolata con insistenza è che il cospicuo Fondo sanitario (previsto in oltre 109 miliardi per l'anno in corso, 111,6 miliardi circa per il 2015 e 115,4 miliardi per il 2016) su cui si regge tutto il servizio sanitario nazionale possa essere tagliato di 3 miliardi di euro.

Il primo a reagire e a ingranare la marcia è stato stamani Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni, che non ha usato mezzi termini per delineare le conseguenze di eventuali tagli alla spesa sanitaria. E la sua non è una posizione personale, come attestano le durissime dichiarazioni di altri governatori al termine della conferenza delle Regioni e prima del vertice Stato-Regioni. L'aut aut è unanime.  
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Nelle stesse ore, dal Pd si è levata la voce di Pierluigi Bersani, ex leader di un partito che oggi è guidato dal segretario-premier Matteo Renzi: "Il Partito democratico - dice, lasciando subito intendere da che parte sta - non può tradire l'universalismo della sanità pubblica. Non affidiamoci alle voci - avverte tuttavia -, dobbiamo vedere come si chiude quest'anno, quale è la proposta sul Def (il Documento di economia e finanzia, ndr). Quando si parla di 16-20 miliardi, bisogna vedere se è sostenibile".

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Dinanzi alla levata di scudi, nel pomeriggio fonti di Palazzo Chigi lasciano filtrare rassicurazioni: "Nessuno vuole tagliare la sanità, ma nessuno vuole gli sprechi. Un esempio che viene fatto da fonti parlamentari è quello degli acquisti: non è più possibile che lo stesso lotto di materiale costi una determinata cifra in una regione mentre in un'altra è il doppio. Ieri Renzi avrebbe dovuto avviare un confronto one to one con ogni singolo ministro per individuare le voci sui cui calare la scure. Quindi, il presidente del Consiglio ha preferito cambiare format, chiedendo ai vari responsabili dei dicasteri (con portafoglio) di inviargli le proposte di taglio. Ad ogni modo, quello della revisione della spesa, mentre si avvicina la scadenza della legge di stabilità (15 ottobre), rimane uno dei dossier più caldi su cui lavora Renzi.

Una smentita (qualcuno la legge anche come un immediato passo indietro) che farà dire a Chiamparino: "Ne prendo atto con soddisfazione" ma "voglio chiarire che un conto è che si dice che bisogna risparmiare nella sanità attraverso la riorganizzazione e modernizzazione e su questo ci siamo impegnati con il Patto per la salute. Se si vuole ridurre il fondo ci opporremo".

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Poco prima, infatti, il governatore aveva detto: "Con il governo abbiamo siglato in agosto un patto d'onore sulla sanità: se si rompe viene meno il rapporto di fiducia e collaborazione. Il patto per la salute ci ha impegnato, entro il 31 dicembre, a scrivere piani di riordino dei servizi sanitari e ha previsto un fondo da 109 miliardi di euro, con un aumento di circa 2 miliardi e mezzo in più l'anno per il 2015 e il 2016. Obiettivo: finanziare il servizio sanitario nazionale. Se si rompe questo patto d'onore si rompe anche il rapporto di fiducia e collaborazione che noi invece vorremmo proseguire".

A rincarare la dose, via Twitter, pure il leghista Roberto Maroni, alla guida della Regione Lombardia, che parla di "dichiarazione di guerra" da parte del governo qualora davvero i soldi destinati alla sanità dovessero subire una sforbiciata.
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Il governatore del Veneto, Luca Zaia, dopo aver promesso battaglia fa sapere: "Prendiamo atto della puntualizzazione del governo e del fatto che si andrà dunque a tagliare la spesa dove le forniture costano dal 100 al 600 per cento in più che nel Veneto. Il metodo per farlo è comunque estremamente semplice: applicare i costi standard prendendo le Regioni virtuose come base del calcolo. Attendiamo fatti e non tweet, comunque vigileremo, fidandoci notoriamente poco degli annunci di questo governo".

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Al rispetto dei patti si richiama anche il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro: "Sulla sanità voglio dire una cosa sola: in quest'ultimo periodo col governo abbiamo raggiunto degli accordi importanti. Ora vanno rispettati". Il che non vuol dire, precisa, che "non siamo pronti ad affrontare tutti i discorsi e gli impegni che abbiamo preso sull'efficienza".

Dalla Toscana, il dem Enrico Rossi invita a cercare le risorse "nelle pensioni sopra i 3mila euro, una cifra alta e più che sufficiente per vivere, soprattutto in un Paese dove la sanità è pubblica e per tutti. La solidarietà non si taglia e per fare giustizia in periodi difficili si chiede a chi ha di più di contribuire".

A insorgere è pure la Cgil: "Aggiungere ai 30 miliardi di tagli già effettuati negli scorsi anni sulla sanità un ulteriore 3% è assolutamente insostenibile. Una scelta di questo tipo equivarrebbe alla decisione di non assicurare più i livelli essenziali di assistenza, come peraltro già avviene in alcune regioni". Così Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, e Stefano Cecconi, responsabile delle politiche della salute, che sulla risposta di Palazzo Chigi sottolineano: "La smentita dell'esecutivo non è propriamente una smentita quindi non ci rassicura affatto".

 
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