Il più detestato dei fotografi? Parla Toscani

«Detestato? Io? E perché?». Nella mensa di Fabrica, a Treviso, tra il chiacchiericcio dei giovani creativi, la forchetta di Oliviero Toscani resta per un secondo a mezz’aria. Be’, basta dare un’occhiata ai social, e non solo quelli che si occupano di fotografia...

B0BAD5BD-A496-4027-BFF7-99EE324CD29DA 76 anni il re delle provocazioni a doppia pagina è tornato sulla tolda delle sue grandi invenzioni visuali degli anni Ottanta, il sodalizio con Benetton. Ed è di nuovo bersaglio di mille polemiche feroci. Ora anche di quelle sul crollo del ponte di Genova, gestito da una società della famiglia del suo storico mecenate, Luciano Benetton.

Gira un fotomontaggio che la mostra con la foto del ponte Morandi in mano...

«Io lavoro con il Benetton di United Colors. Ma mi fido di lui e penso che anche nella parte autostrade sia stato onesto e abbia fatto un lavoro di livello europeo. Se poi sui social qualche imbecille fa speculazioni su una tragedia, che devo dire? Non ci si può neanche difendere. Se i cretini credono che quel fotomontaggio dica una verità su di me, fatti loro. Io rispondo alla mia coscienza, l'unica cosa a cui posso credere».

Lei però sta antipatico anche a molti suoi colleghi fotografi.

«Non è vero, ho tanti amici fotografi con cui vado d'accordissimo. Agli altri, non è che sono antipatico. Gli sto proprio sul cazzo. E a quel punto mi tolgo qualche soddisfazione».

Come ha fatto pace con Benetton, dopo la rottura?

«La storia della rottura per colpa della campagna sulla pena di morte è esagerata. La grande catena americana Sears se la prese e chiuse i punti vendita Benetton, ma erano solo il 7 per cento del mercato Usa, e poi nei negozi Sears Benetton aveva solo dei corner in mezzo ai cetriolini e agli aspirapolvere. Non fu un gran danno. La verità è che dopo diciott’anni di collaborazione avevo deciso di cambiare, di fare altre cose. Ora torno per farne altre ancora, io cambio sempre».

Come avete deciso l’uscita con la foto del barcone dei migranti?

ToscaniIntervista4«Come sempre, con Benetton ci vediamo la mattina fra le nove e le dieci, e decidiamo. Quel giorno c’era quella foto su Repubblica, piccola così, ci siamo detti ok, facciamone due pagine e vediamo che effetto fa».

Sos Mediterranée ha preso le distanze.

«E Médecins sans frontières e la Croce rossa ci hanno appoggiato, vuole vedere i messaggi? Hanno capito che bisogna sfondare i generi. Io ho visto il fotogiornalismo da vicino e posso dire che è finito, morto, era morto già anni fa, quando Life ha chiuso. Come fai a usare le fotografie come informazione se non cambi qualcosa? Se continui a fotografare come Cartier-Bresson oggi fai solo intrattenimento. Chi dice queste cose sta sulle palle, lo capisco».

Si sente un rivoluzionario?

«Certamente lo sono. Quando hai tutti contro non è facile, non è comodo non avere il consenso e io non lo cerco. Qualcuno pensa che sia comodo fare pubblicità con una foto di morte per Aids?».

L’Aids per vendere maglioncini?

«Ma che obiezione è? La moda anni Sessanta era informazione politica. Ha cambiato il costume, ha cambiato la testa della gente, altro che vendere minigonne».

Un’azienda non deve avere le carte in regola per predicare etica?

«Fra le aziende per cui ho lavorato Benetton è la più coerente. Nessuno è mai coerente in assoluto. Io non so cosa succederebbe se andassimo a verificare la coerenza dei santi... Papa Francesco è sicuro al cento per cento che esista il paradiso? Noi almeno sappiamo che quel che mettiamo in pagina esiste... Un’azienda ha libertà di espressione come un individuo. E io, attraverso il canale che mi mette a disposizione un’azienda, esprimo. Operazione artistica, Duchamp: prendi una cosa e la metti da un’altra parte, dove non dovrebbe stare, e allora tutti improvvisamente la vedono come non la vedevano prima».

È ancora pubblicità questa?

«Ma io non so come funziona la pubblicità, non ho mai lavorato per un’agenzia pubblicitaria. Io sono un fotografo, ma un fotografo non è un cameraman, è lo sceneggiatore, il soggettista, il direttore della fotografia, lo scenografo, il tecnico delle luci, il regista, e alla fine è anche il cameraman».

Però lei spesso usa foto di altri.

«Quando serve, certo, le uso come fa un regista, mica le rubo. Poi ci sono i fotografi che le foto degli altri le copiano».

Il Festival della Comunicazione di Camogli l'aveva invitata per un talk dal titolo Cambia l’inquadratura dalle modelle superstar ai normali mortali? La sua risposta?

«Comuni mortali? Anche le modelle muoiono. Professionalmente, molto presto. Quante volte puoi fotografare la stessa modella? Venti, trenta? Basta, che noia…».

ToscaniIntervista2Scusi, Toscani, ma se è nato il mito delle top model è anche un po’ responsabilità sua, no?

«Ma sì. Sono stato il primo a fotografare Monica Bellucci, negata come modella, ma così ingenua, bellissima. Il primo a fotografare Claudia Schiffer. Fotografai Naomi a sedici anni, venne in studio accompagnata dalla mamma, più bella di lei».

Dunque?

«Dunque basta. Finito. Intanto, io non fotografo modelle che guadagnano più di me. Lo trovo antietico. Poi, sono finte. Il guaio è che poi le donne vere le imitano. Io sono contro i tacchi, il rossetto, le donne ormai sono travestite, sembrano tutte drag queen. Le mie sono le meno truccate del mondo».

Si chiamano modelle anche perché servono da modello, no?

«Usare modelle famose è un controsenso. Una modella più è fotografata più diventa cara, no? Sbagliato! Dovrebbe essere come le auto, più le usi più si svalutano, una modella con troppi chilometri dovrebbe costare pochissimo. Le modelle diventate più famose dei vestiti servono solo a dare sicurezza, come tutte le cose conservatrici. La sicurezza è una noia».

Una noia che fece fare tanti soldi…

«Ma noooo, è stato uno sbaglio colossale. I testimonial famosi… Cosa c’entra Clooney col caffè? Mancanza di creatività, di invenzione. La Fiat rifà la Cinquecento, è conservazione pura. Fare moda con i volti famosi è la cosa più facile del mondo e a me non piacciono le cose facili. Io non sono mai stato a questo gioco. Legga lì» (sul muro è appesa col nastro adesivo una fotocopia con una frase di Niccolò Machiavelli: “Non c’è niente di più difficile da condurre né più dannoso da gestire dell’iniziare un nuovo ordine delle cose”).

ToscaniIntervista5Vale anche per il suo lavoro commerciale?

«Perché, Caravaggio non faceva lavoro commerciale? Leonardo non faceva marketing? Tutti quelli che adorano Cartier-Bresson… Era un cameraman. Bravissimo eh. Ma andava, vedeva quel che era lì e scattava. Tutto pronto tutto fatto. Sono andato a fare un ritratto a Di Maio, per Forbes. Appuntamento preso, indirizzo, sali, scatti e torni a casa… Che fatica è? Avedon sì che era un grande. Lui creava tutto. Un conto è prendere fotografie, un conto è immaginarle».

Anche se le cose sono lì, bisogna saperle vedere, no?

«Non è che disprezzo i fotoreporter. Vanno, rischiano, e certo quando sei sul posto vedi più cose degli altri. Ma c’è chi è psicanalista del mondo che vede, e chi no. I fotografi sono esecutori di immagini richieste da altri, mio padre me lo ha insegnato. Sa cosa mi disse Tazio Secchiaroli, il grande paparazzo? “Ho fotografato Soraya, 1/125 e 5.6, fuoco tre metri, e tac, tutto fatto, se poi inciampava sulle scale ancora meglio”».

Allora perché da dodici anni fa ritratti a gente incontrata per strada?

«Si chiama Razza Umana… Nasce da quel luogo comune, la fotografia mi ruba l’anima, benissimo! Pensa che potere ti dà! Voglio farlo! Strada, telo bianco, fermo chi passa, se ci sta gli faccio il ritratto, alla posa ci pensa lui, io penso al flusso. Quale flusso? Il flusso dell’anima da rubare... Difficilissimo intercettarlo, sbagli di qualche centimetro e lo perdi».

Ci fotografiamo tutti per strada oggi. Ma lei ha detto cose di fuoco contro i selfie.

«No, contro la droga del selfie. La droga piace, il problema è che fa male. Quando vado in giro tutti vogliono farsi un selfie con me... Sì, una volta mi sono arrabbiato, quel ragazzo insisteva, ma hai solo questo nella testa amico mio? Nulla contro i selfie, vorrei avere tutti i selfie del mondo da gestire... Mi dà fastidio che non sei tu che comandi. Come con la droga».

Per lei la fotografia non è una droga?

«No, è ricerca dell’anima. Guardi (sfoglia l’album Razza umana, ndr), qui di anima ce n’è. Le modelle no, sono vuote, con loro nessun problema di anima. Ti danno solo il corpo. Gamba su braccio giù, fanno tutto quel che gli dici, chissà cosa pensano intanto».

ToscaniIntervista3Di una modella lei non fotografò il volto. Quel sedere in primo piano…

«Ah! La mia amica Donna Jordan. Per i jeans Jesus. Era il ’72. Avevo trent’anni. Vede, io ho l’età dei Beatles. Sono nato un mese dopo Muhammad Ali. Tutti pensano che ci fosse dietro chissà quale strategia, nacque tutto per strada, passeggiavo per Broadway con il mio amico Maurizio Vitali, giovanissimo imprenditore, e lui mi disse: ok, facciamo i jeans, ma serve un nome. Io alzo la testa e vedo il poster di Jesus Christ Superstar, il musical. Ecco il nome! È già famoso, è libero da copyright, è disponibile da duemila anni, chiunque lo può usare, ci sono tanti Jesus nel mondo latino. Lui mi guarda con gli occhi così e balbetta “ma sei piciu?”, però lo facciamo, E scoppia tutta quella follia isterica, scandalo, blasfemia».

Lei è credente?

«Sono laico, perché?».

Perché Pasolini scrisse che il vostro Jesus faceva concorrenza a quello del Vaticano.

«Me lo ricordo! Noi eravamo lì un po’ sballottati, possibile che solo noi due pensiamo che non sia un peccato chiamare Jesus un paio di jeans? Poi la domenica mi telefonano, corri a comprare il Corriere! Leggo il fondo di Pasolini e dico, no, adesso siamo in tre».

Sì ma lui scrisse che il vostro Jesus era quello del consumismo, che stava sconfiggendo quello della religione.

«No, lui scrisse che la comunicazione moderna sconfiggeva il clericofascismo».

Da allora lei è il provocatore.

«È un complimento. Viva la provocazione, fa andare avanti le cose. Pensa che sia un insulto solo chi è geloso perché non ha idee».

Guardi che intendono furbacchione

«La storia va avanti per merito dei furbacchioni. Michelangelo era furbissimo. Io non faccio pubblicità, io faccio il fotografo. Non c’è distinzione, fotografare è etica, politica, commercio, morale, estetica. Chi fa solo una di queste cose non è un fotografo. Io faccio il fotografo perché sono testimone del mio tempo».

[Una versione di questa intervista è apparsa su Il Venerdì di Repubblica il 24 agosto 2018]

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7 commenti

  • ... Quando uscì la campagna della Jesus Jeans io avevo 16 anni, adesso ne ho compiuti sessanta. E siamo ancora lì.
    Non sentite anche voi nell'aria qualcosa che sa di malinconica débâcle, una sorta di collettivo Autunno del Patriarca di un intero paese? Davvero siamo ancora lì?

  • Fulvio Orsenigo 31 agosto 2018 alle 09:42

    Deus ex Fabrica

  • Semplicemente un gran furbo che strano caso provoca e spara sempre contro una sola parte. Domande a cui chiedo una sua risposta: a quando una bella foto di due mussulmani che mangiano un panino col salame? A quando una bella foto della ragazza violentata ieri da un immigrate? A quando una bella pubblicita' per un prodotto chiamato Maomettos? Forse mai perche anche il signor Toscani tiene famiglia e ...pure un bel conto in banca

  • Io sono uno di quelli che quando lo vede, specie in accoppiata col socio del fastidio, pensa che gli sta proprio sul cazzo. E che in effetti rigira la frittata sul fatto che lui camera-man non è proprio (le cose che lo hanno reso famoso le scatterebbe qualunque fotografo "camera-man" che abbia aperto il manuale della fotocamera e fatto due esperimenti in studio, ma ovviamente oggi, in cui la formazione è più facile e costa meno) e quindi disprezza come la volpe e l'uva. Ma no, ovviamente lui la giustificherà. Benedusi, era, non mi ricordavo. Il socio del fastidio, con cui diventano gli Sgarbi-Littizzetto della fotografia. Macchiette brontolone acide. Quando parlano.
    Ma questa intervista dice cose che condivido profondamente.
    E amo che le mie modelle non siano vere modelle. I tacchi li amo perché slanciano e mi piace la gamba lunga, ma non le trucco mai, e lascio che facciano quel che vogliono coi loro capelli. Ma no, niente noia. Sono persone e non mi annoiano, anzi, con un corpo nudo posso fotografare per sempre, sempre la stessa persona, che è infinita.

    Ma condivido che QUANDO HAI IMPARATO, DOPO, allora "Io sono un fotografo, ma un fotografo non è un cameraman, è lo sceneggiatore, il soggettista, il direttore della fotografia, lo scenografo, il tecnico delle luci, il regista, e alla fine è anche il cameraman" è verissimo per me. Io mi sento così.

    E quindi Toscani mi sta ancora più sul cazzo adesso! :-D

  • Quando leggi le sue interviste riesce ad intrattenere piu' di quando lo senti parlare... e anche a farmi trovare d'accordo con molte delle affermazioni, poi glissa con eleganza sui territori piu' spinosi per non contraddirsi. Bella intervista, Michele. Sono sorpreso abbia 76 anni... wow!

  • Come fa umile artigiano dire sono un fotografo. Toscani è più che un fotografo. È una macchina che spara parole, le sue parole, le sue provocazioni, la sua capacità di promuoversi, la capacità di promuovere con, e sempre, lo stesso metodo di fotografare, diventato inconfondibile. Il linguaggio della fotografia si è evoluto, come si evolve qualsiasi linguaggio. Per Toscani si è evoluta la provocazione, il modo di pubblicizzare un prodotto, ma non la fotografia. Caro Toscani, dato che non è nelle sue capacità, prenda una foto di Henri Cartier Bresson, ed associ il marchio Benetton, se ne accorgerà, altro che solo intrattenimento.

  • Riccardo Varini 29 agosto 2018 alle 08:15

    Si è difficile fotografare un morto di Aids ma è obbligatorio?
    Se la racconta e la sa raccontare bene. E' bravo in questo.
    Per me c'è un sacco di contraddizioni come al solito.
    Che non faccia pubblicità ed è solo fotografo...Beh...
    Che bisogna provocare per smuovere d'accordo ma bisogna anche vedere cosa provochi.
    L'Italia è un paese di conservatori, d'accordo, ma poi dice che fotografa il suo tempo...
    Che stia a fotografare "il flusso" l'anima delle persone non mi pare tanto, le sue fotografie spesso
    sono senza volto o piatte e senza anima, come l'ultima del "cambiamento"...
    Caravaggio, Michelangelo...Furbetti ? Loro forse si che cercavano l'anima oltre alla luce che lui non mette.
    Paragone esecrabile.