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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2012 alle ore 06:41.

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Antonino Porracciolo
Giovanbattista Tona
Dichiarata l'inammissibilità dell'appello, resta aperta la questione "spese". Chi paga il procedimento? Secondo il Codice di procedura civile, il giudice d'appello deve provvedere sulle spese «a norma dell'articolo 91». Sembrerebbe, dunque, che all'inammissibilità segua sempre la condanna dell'appellante a pagare i costi all'appellato; la norma, del resto, ha una sua logica, giacché un appello inammissibile si pone al limite della temerarietà e difficilmente consente di ipotizzare la ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni per una compensazione tra le parti.
Tuttavia, il giudice potrebbe dichiarare inammissibili sia l'impugnazione principale sia quella incidentale. In questi casi il rinvio al solo articolo 91 si mostra insufficiente. La soccombenza reciproca è disciplinata dall'articolo 92 del Codice di procedura civile: per evitare interpretazioni applicative che violino il parametro costituzionale della ragionevolezza, riteniamo che, in caso di doppia inammissibilità, e anche in assenza di richiami testuali all'articolo 92, al giudice d'appello vada riconosciuta la facoltà di valutare se procedere alla compensazione, anche parziale, delle spese.
L'ordinanza che dichiara l'inammissibilità non è, di per sé, impugnabile perché il ricorso per Cassazione può essere proposto solo contro la sentenza di primo grado. E la decisione sulle spese?
La legge non prevede possibilità di impugnazione.
Tuttavia, secondo la Suprema corte, anche quando non è ammissibile alcun gravame per contestare il merito, il ricorso per Cassazione è comunque consentito contro il capo di quell'ordinanza che contiene la condanna al pagamento dei costi del procedimento; ciò perché tale statuizione riguarda posizioni giuridiche soggettive di debito e credito, discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (Cassazione 2986/2012).
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