Le riforme degli ultimi anni non sono servite a nulla: lo spread della giustizia civile è ancora fuori controllo, a livelli record. Se si guarda alla durata dei processi relativi alle dispute commerciali siamo penultimi in Europa: da noi un procedimento dura infatti 1.185 giorni contro una media europea a fine 2013 di 544. Tre anni e tre mesi contro i 13 mesi di Francia e Germania. Un’enormità.

Se in Italia le imprese faticano a crescere, se dall’estero arrivano pochi investimenti, è anche colpa di questo pezzo della nostra giustizia che proprio non funziona. L’ultimo rapporto sulla competitività del World economic forum ci colloca al 49° posto su 148 Paesi, ma l’efficienza del nostro sistema giuridico vale addirittura il 145° posto. Ecco perché dopo quelle del lavoro, del fisco e della pubblica amministrazione, il governo ha messo anche giustizia nella sua agenda delle riforme. Giustizia penale, ma soprattutto civile. Dove Renzi pensa di intervenire allargando a tutto campo il processo elettronico. I tavoli al ministero della Giustizia sono aperti da alcune settimane e il clima, soprattutto con gli avvocati, con l’arrivo del nuovo governo è notevolmente migliorato. Spiega Cosimo Ferri, ex magistrato e ora sottosegretario alla Giustizia: «L’inefficienza della giustizia civile in Italia costituisce uno dei fattori che condizionano la competitività e la capacità di crescita dell’Italia, rendendo talvolta parzialmente inefficaci le riforme realizzate dal Parlamento in differenti materie». Inoltre «l’irragionevole durata dei processi, a seguito di condanne per la legge Pinto, costringe lo Stato a pagare cifre molto rilevanti che non ci possiamo permettere. E soprattutto pesa quanto la burocrazia» nel rallentare la crescita delle nostre imprese.

Meno liti, boom dei costi

Gli ultimi dati sullo «spread della giustizia civile», elaborati da Confartigianato per uno studio che siamo in grado di anticipare, rivelano che negli ultimi tempi la situazione è lievemente migliorata: al 30 giugno 2013, per effetto di una maggiore produttività degli uffici giudiziari e di una riduzione della litigiosità, la durata media dei processi pendenti davanti alle corti d’appello è infatti scesa del 2,5% rispetto ai 12 mesi precedenti arrivando a 1.025 giorni, quelli pendenti davanti ai tribunali del 6,4% (a 437 giorni), del 2,6% quelli gestiti dai giudici di pace (258 giorni). Peccato che tra il 2005 ed il 2012 la durata di un procedimento civile di cognizione ordinaria, per intenderci il rito standard, sia invece salito del 23,9% passando da 914 a 1.132 giorni. E questo, come denunciava a fine gennaio il Consiglio nazionale forense, nonostante in questi anni si siano succeduti ben 17 interventi legislativi. Che non solo non hanno ridotto i tempi, ma hanno fatto letteralmente esplodere i costi: +55,6% per il primo grado, +119,5% per l’appello e + 182,6% per la Cassazione.

Arretrato monstre

A pesare è soprattutto l’arretrato, segnala lo studio di Confartigianato, cresciuto a dismisura al ritmo 325 pratiche ogni ora dal 1980 al 2013, sino a toccare 5.257.693 pratiche a metà dello scorso anno. Dal 2009 ad oggi lo stock è sceso del 9,8% ma ovviamente ancora non basta. Basti pensare che mettendo uno davanti all’altro i fascicoli ancora pendenti davanti ai tribunali italiani arriveremmo a 1840 chilometri, ovvero la distanza che separa Roma da Copenhagen.

Oggi in Italia per arrivare ad una sentenza di fallimento occorrono in media 2.566 giorni, ovvero 7 anni e 11 giorni, 1.252 per una esecuzione immobiliare, 1.046 giorni per una causa legata alla previdenza, tra 674 e 801 giorni per una causa di lavoro (più del 20% del totale dei processi) a seconda che sia nell’ambito privato o della «pa».

Un miliardo di extra-costi

«I ritardi del nostro sistema giudiziario determinano enormi costi per cittadini e imprese – commenta il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti -. Si traducono in distorsione della concorrenza, finiscono per incrinare la fiducia nei confronti delle istituzioni, scoraggiano gli investimenti nel nostro Paese. Ma alimentano anche un grave malcostume: l’utilizzo del contenzioso come strumento per sottrarsi ai propri doveri nei confronti dello Stato e degli altri cittadini». Il danno diretto alle nostre imprese prodotto dai ritardi della giustizia, secondo Confartigianato, ammonta a oltre un miliardo di euro: 488 milioni alla voce recupero crediti e 543 milioni sugli attivi delle aziende fallite. Numeri anche questi da vera emergenza.

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