LA REAZIONE

La rabbia della famiglia Scafidi
"Nostro figlio è morto invano"

Il padre del ragazzo morto nel crollo del liceo Darwin si sfoga dopo la sentenza: "Ci aspettavamo giustizia. Così invece si continuerà a lavorare nello stesso modo, tanto ormai ci sarà la certezza che nessuno va in galera"

Arrabbiati. Delusi. Ancora più disperati. La famiglia di Vito non si aspettava di sentire pronunciare la sentenza di sei assoluzioni per il crollo che gli ha strappato un figlio. Paola, la sorella, teneva entrambi i genitori per mano mentre il giudice leggeva la sentenza, cercando di dar loro un po' di forza e coraggio. Ma quell'unica condanna "portata a casa" non è bastata a soddisfare un senso di giustizia che da tre anni attende di essere colmato: "E' come se Vito fosse morto invano" ripetono, anche quando il loro avvocato, Renato Ambrosio cerca di offrire una lettura diversa della sentenza. E gli ricorda i risultati delle loro battaglie, come il monitoraggio per la sicurezza di tutte le scuole. O gli spiega che potranno continuare a battersi, anche in civile, dove le strade sono ancora tutte aperte, per ottenere il riconoscimento del "danno esemplare": "Il giudice oggi ha assegnato una provvisionale alta nonostante fosse già stato dato un cospicuo anticipo. Significa che ha riconosciuto che qualcosa di sbagliato è successo..".
Ma il dolore per la perdita di Vito è sempre stato così lacerante per questi genitori, da aver smesso di vivere. Scandiscono il tempo tra la tomba del figlio e le battaglie per la sicurezza, o per intitolare un liceo a suo nome. E la mamma, Cinzia Caggiano, da alcuni giorni è ricoverata nel reparto di psichiatria dell'ospedale Molinette, diretto da Filippo Bogetto, per un forte disturbo post traumatico da stress accompagnato da una severa depressione. Ieri ha ottenuto il permesso di venire in tribunale, e, al mattino, ha chiesto scusa al giudice per le parole pronunciate la scorsa udienza, quando aveva esternato in aula una richiesta di aiuto: "Temo per la mia vita e per quella di mia figlia. Ho paura di fare o di farmi del male...", aveva detto con grande sofferenza, implorando giustizia. Una giustizia che sente di non aver avuto. Per questo, subito dopo la sentenza, la famiglia non ha voluto rilasciare commenti. Per paura di essere troppo coinvolti dalla rabbia. Fortunato ha riaccompagnato sua moglie in ospedale, e più tardi è tornato a farle visita.

La rabbia non si è attutita, ma ha deciso che era importante parlare: "Neanche 100 anni di carcere ci sarebbero bastati, Vito non può tornare indietro. Ma siamo rimasti delusi perché sono stati tutti assolti. L'unico condannato a soli quattro anni, non significa giustizia: è un brutto segnale per il Paese. Il sistema è sbagliato, noi ne siamo vittime, Vito ne è stato una vittima, ma speravamo che potesse cambiare qualcosa. Così, invece, si continuerà a lavorare nello stesso modo, tanto ormai ci sarà la certezza che nessuno va in galera. Una condanna a quattro anni è troppo poco per la morte di uno studente. Perché poi in secondo grado Del Mastro otterrà uno sconto di pena, magari a due anni e non si farà un giorno di carcere. Alla fine non pagherà nessuno". Non si dà pace Fortunato: "E intanto gli imputati si fanno le vacanze tranquilli, continueranno a lavorare nel settore pubblico e a prendere i loro stipendi. Quello che è successo è deprimente: avevamo paura che nostro figlio fosse morto invano, infatti è stato proprio così".(s. mart.) 
 

(15 luglio 2011) © Riproduzione riservata